TONYA – RECENSIONE SPOILER

Craig Gillespie porta sul grande schermo la storia di Tonya, una giovane pattinatrice dilaniata dal rapporto tossico con una madre dura e un marito violento, che cerca di realizzare il suo grande sogno.

Lo sceneggiatore si serve abilmente della tecnica del Mockumentary ( delle finte interviste frontali girate con gli attori) per esprimere fin da subito quello che sarà uno dei temi principali fino alla fine della pellicola: la ( non) importanza della verità. Il film non si presenta con la verità in mano, pronta per essere consegnata allo spettatore. Al contrario lo sceneggiatore vi inserisce al suo interno tutte le verità possibili , a volte ridicole a volte drammatiche, sostenute dai personaggi coinvolti nella vicenda. Il risultato finale è incredibile, la ricerca della verità passa in secondo piano mentre l’occhio si concentra sull’esaltazione del personaggio protagonista, interpretato alla stragrande da Margot Robbie. Tonya Harding è una ragazza diversa, forte ma allo stesso tempo fragile. Bersagliata dal pubblico, dalla stampa e dai giudici, vive una vita fatta di violenza fisica e psicologica. Consapevole del venefico rapporto con il marito ( Sebastian Stan) non riesce mai a trovare la forza per staccarsene definitivamente. Il film è anche un inno alla diversità. Sarà una delle poche pattinatrici al mondo in grado di esegure un triple axel ( un salto particolarmente difficile girato con un bellissimo slow motion ), ma nonostante la sua bravura verrà sempre respinta dalla società americana. Non è la sua l’immagine che il pubblico e lo stato vogliono veder vincere. Tonya rimarrà sempre un corpo alieno, estraneo, nel mezzo di una società che fatica ad accettarla.

Una rocambolesca sequela di eventi porterà, infine, all’accusa di aver ordito un’aggressione ai danni della rivale Nancy Kerrigan.

Anche e soprattutto in questo caso il regista gioca con ironia e dramma, passando dalla straniante, quasi ridicola scena dell’aggressione alla tragica sequenza del processo, dove Tonya si vede strappare via l’unica cosa che le importa davvero: poter pattinare.

voto: 7.5

Al prossimo articolo. Cookandcomics

GET OUT – SCAPPA

 

Il film parla della storia di Chris, un ragazzo nero che non senza un po’ di timore, si reca con la fidanzata a conoscere i ricchi genitori bianchi di lei. Chris nota alcuni comportamenti strani tra i membri della famiglia e poco alla volta comincerà a rendersi conto di una terribile verità.

Lo spettatore accompagna il protagonista, interpretato alla stragrande da Daniel Kaluuya, durante il suo percorso di consapevolezza che lo porterà a conoscere un orribile realtà nascosta. Il punto di forte di questo film è senza dubbio la sceneggiatura, scritta appositamente per giocare con lo spettatore, per stare sempre un passo davanti a lui. I picchi di scrittura della pellicola, li troviamo nei continui colpi di scena disseminati durante tutta la narrazione. Grazie anche ad una regia congrua alla crescente tensione, queste sequenze sono come uno schiaffo per lo spettatore che mai si sarebbe aspettato volta-faccia del genere. Nulla è lasciato al caso, ogni frase, ogni inquadratura è funzionale alla storia.

Get Out è uno di quei film che ti frega , che ti fa rimanere per 5 minuti sulla poltrona del cinema o del salotto di casa a fissare lo schermo mentre cerchi di capire come da un inizio del genere si sia arrivati ad un finale del genere. Scritto e diretto da Jordan Peele, che con questa sua opera prima svolge un lavoro impeccabile, Get Out è il film che non ti aspetti. Zero robaccia splatter. Il regista tesse un’ intricata ragnatela narrativa la cui tensione aumenta per gradi, con due o tre strattoni incredibili che lasciano a bocca aperta.

E voi cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti

PARASITE – LA RECENSIONE

Prima di iniziare a scrivere questo articolo, ho digitato su internet la parola parassita per cercarne la definizione e sono rimasto vagamente sorpreso di quanto sia rappresentativa del film. In biologia, qualsiasi organismo animale o vegetale che viva a spese di un altro;

La storia narra le vicende della famiglia Kim che vive in uno scantinato, con gli scarafaggi, in povertà assoluta e con una orrendo scorcio che dà sul marciapiede, dove gli ubriachi si fermano per orinare.

La svolta sembra avvenire quando il figlio riesce a trovare un lavoro, presso la ricca famiglia Park, come insegnante di inglese. Piano piano tutti i Kim troveranno lavoro dai Park, vi si insinueranno come Parassiti.

In questo film anche gli ambienti sembrano dialogare tra loro, molte volte lasciando un messaggio. La casa dei Kim è per certi versi l’esatto opposto di quella dei Park, e riflette le differenze sociali tra le due famiglie.

Infatti la pellicola è fortemente incentrata sulla lotta di classe. Esprime un pensiero preciso e lo fa attraverso una regia potentissima che raggiunge il culmine della maestria nella scena più violenta, mettendo fine al meccanismo Parassita-Organismo che si era instaurato tra le famiglie.

I Kim, abili mentitori, si mischiano perfettamente tra i ricchi, tranne per quella puzza inconfondibile che simbolicamente segna il limite invalicabile tra poveri e ricchi. Questa condizione pesa, più di tutti, sul padre che non riesce a sopportare il fatto di essere un Parassita. Egli è indubbiamente il personaggio più carismatico e forse più importante dell’intera pellicola, perché si fa carico del significato del film.

Incredibile il ribaltamento a cui lo spettatore incredulo assiste a metà del film. Quando tutto sembra tracciato, quando sembra che andrà a finire in un certo modo, il regista, con abilità, stravolge l’intera trama e intrica ancor di più il legame tra Parassiti ed Organismi, tra ricchi e poveri, come a voler dire che la ricchezza non nasce dal nulla ma che si fonda sempre(?) su qualcosa di oscuro, di orribile. È questa la funzione metaforica della stanza segreta sotterranea nella casa dei Park, ma non vi svelo altro; perché forse c’è ancora qualcuno che il film non l’ha visto ( cosa state aspettando?).

Bong Joon Ho parla di un tema delicato, quanto mai attuale, e lo fa con un’opera sublime, magistrale, che cambia sempre forma e che non si schiera mai.

1917 – RECENSIONE spoiler

Prendi una regia spettacolare interamente in piano sequenza, un grande cast corale guidato da due grandi interpretazioni, una fotografia pazzesca, un trama forse banale ma ben escogitata e ottieni il film dell’anno. Tecnicamente parlando, questo film è qualcosa di nuovo, una pellicola che sperimenta e lo fa bene.

1917 è la storia di due giovani soldati a cui viene assegnata un’importante quanto pericolosa missione: quella di consegnare un messaggio che salverà 1600 uomini da una morte certa.

Lo spettatore si ritrova nella condizione di terzo soldato silenzioso della vicenda che vive l’orrore e l’eroismo della guerra assieme ai due compagni, legati sin da subito da una forte amicizia. La regia riflette subito il significato primario del film, descritto anche nel sottotitolo della pellicola. “Il vero nemico è il tempo”. La scelta del piano sequenza ( senza tagli, senza interruzioni) è perfetta per descrivere l’inesorabilità del tempo che passa, così come l’inesorabilità della guerra. Questo va a collegarsi con l’altro aspetto che Sam Mendes decide di mettere in risalto: la precarietà della vita e della condizione dei commilitoni. In particolare, in merito a questo tema, è molto esplicativa la scena, che attendiamo per tutto il film, in un abile crescendo di tensione, dell’incontro tra Schofield e il colonnello Mackenzie. Dello stesso significato è la parte della morte di Blake, il suo compagno è infatti costretto ad assistere impotente alla sua fine.

La pellicola è anche costellata di moltissime scene memorabili, piene di significato simbolico e tecnicamente grandiose. La migliore è senza dubbio quella del fiume. Il protagonista sta infatti per cedere, per lasciarsi andare ed ha la forza di rialzarsi solo dopo aver visto galleggiare nell’acqua dei fiori che gli ricordano l’amico deceduto e la sua missione. Subito dopo il regista ci immerge in un silenzio irreale, spezzato solo da una canzone in sottofondo, trattasi di  “Wayfaring Stranger”, che parla di un viandante che deve allegoricamente attraversare il  fiume Giordano per ricongiungersi ai suoi cari.

1917 è un grande film, in cui lo spettacolare lato tecnico ( lo so abbiamo già detto, ma non smetteremo mai di ripeterlo XD) non è fine a stesso, ma mette in forte risalto una storia ben orchestrata, corposa simbolicamente e molto toccante.

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ORDINARIO CONTRO STRAORDINARIO

ORDINARIO CONTRO STRAORDINARIO

Oscar. Miglior attore. Una lotta a due. Phoenix strafavorito.

Non v’è dubbio quando diciamo che quest’anno la scena l’hanno presa Phoenix e Driver, con 2 interpretazioni così diverse tra loro eppure uguali in grandezza. Il primo sforna un lungo assolo per tutto il film, crea empatia per un personaggio pazzo, malato ed escluso da tutti. Dall’altra parte l’interpretazione di Driver è perfettamente combinata nel duo con Scarlett Johansson e ci mostra il ritratto di un padre amorevole, di un regista promettente e di un marito affranto che sta affrontando un divorzio. Entrambe nella loro diversità sono delle interpretazioni di altissimo livello, l’una rappresenta lo straordinario, la follia l’esclusione e quindi la singolarità e si scontra con l’altra che rispecchia la normalità, l’ordinario.

Chi porterà a casa la statuetta? Ordinario o Straordinario?

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